GIANNI DE TORA

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2004 Antologica - Maschio Angioino, Napoli 21 gennaio 15 marzo

"THE WORLD OF SIGNS"
 
ARTICOLO DI STELLA CERVASIO SULLA REPUBBLICA NAPOLI DEL 21 GENN 2004

Se dovesse indicare il suo padre ideale in arte, direbbe senza ombra di dubbio 'Leonardo'. Parte dalle sue simmetrie come teatro nel quale si inscrivono uomo e natura, l'arte di Gianni De Tora, scenografo di geometrie. The World of Signs, la mostra che s'inaugura oggi alle 18.30 nella Sala della Loggia del MaschioAngioino, ricollega Napoli ai quarant' anni di una carriera che parte da Napoli e vi fa ritorno, nello studio suggestivo di Villa Faggella a Capodimonte, ma si irradia da Milano verso l'Europa. Una rìcerca autentica e profonda come la sua non darà mai forfait: "In questa mostra presento un' opera in digitale che analizza i segni di alcune mie opere. Accanto a questa, nel catalogo - spiega De Tora - ho messo una frase di Liotard "l'informatizzazione non sostituirà mai l'attività artistica, perché c'è qualcosa che non ancora deve essere scritto". Per il lavoro dell'artista, pur senza dìsdegnare la storia, ogni nuova sperimentazione costituisce sicuro motivo di interesse». Ed è così che Napoli dedica la prima personale all' artista casertano di nascita (1941), un'antologica improntata alla misura della sintesi, che si apre con le prove figurative dei primi anni '60 (un paesaggio morandiano ne misura già il rigore), passando al neo figurativismo degli inoltrati '60, dove la denuncia non violenta del Vietnam e il dubbio esistenziale scaturito dalla conquista dello spazio si misura pur sempre con quelli che il critico francese Pierre Restany riconosce i caratteri propri della "natura scenografica dell'universo di De Tora». Il passaggio all'astrazione avviene quasi naturalmente, con la figurazione che, dice Corbi, «viene espunta». «Resta», ma non è giusto dirlo, perché in realtà c'era già prima, la struttura geometrica e l'uso del colore come forma, storicamente «figlio» di quella linea che arriva fino a noi attraverso Mondrian e Rothko. Siamo giunti così alla fase centrale del percorso di De Tora, quella in cui si costituisce con Di Ruggiero, Riccini, Guido Tatafiore, Testa e Trapani il gruppo Geometria e ricerca nato nel 76. Enrico Crispolti individuò in questo fare geometrico «hard» di stretta osservanza, la presenza di una mutazione di natura. Infatti nelle composizioni controllate severamente dalla geometria, pare si aprano delle «finestre», squarci di luce. Negli anni '90 Gillo Dorfles noterà che quella simmetria De Tora giocherà a violarla. Nuove porte saranno usate per entrare nel dominio di Flatland, il romanzo inglese del 1882 che suggeriva altre geometrie oltre quelle euclidee. Ed entriamo nell'ambito della ricerca della quarta dimensione di Duchamp, come De Tora dimostra con la sua Croce strabica del '99. Due le opere inedite esposte: un labirinto in ferro smaltato a fuoco formato da 4 cubi ciascuno di un colore primario, il bianco contiene una forma di ovoide riempita di acqua di mare e sabbia. C'è poi una piramide-casa che si vedrà al centro della sala con un ovoide- seme coperto di sabbia, simbolo di germinazione e crescita.

 
ARTICOLO DI TIZIANA TRICARICO SUL MATTINO DI NAPOLI DEL 22.1.2004

Ieri sera l'inaugurazione a Castelnuovo-

DE TORA, UN MONDO DI SEGNI GEOMETRICI E UN SOGNO D'ARTISTA LUNGO QUARANT'ANNI

Il mondo dei segni, dove forme e colori primari costruiscono geometrie perfette. Ed elaborano un linguaggio universale. «The WorId of Signs» è la personale di Gianni De Tora inaugurata ieri sera nella Sala della Loggia del Maschio Angioino (fino al 19 febbraio: lun/sab ore 9-19). Da vent'anni l'artista casertano mancava da Napoli: ora, dopo aver esposto in Canada, Germania e Francia e con altri due appuntamenti di prestigio in vista; la Svizzera (a marzo) e New York (a maggio), De Tora presenta a Castelnuovo un riassunto del suo percorso artistico. Questa antologica, curata da Vitaliano Corbi, documenta attraverso una serie di opere realizzate tra il 1961 ed oggi, i momenti più significativi dell'arte di De Tora, tra i protagonisti della ricerca astratta a Napoli e figura di rilievo nel panorama nazionale. Dalle prime esperienze degli anni '60, con una figurazione che traduce in immagini liriche il paesaggio mediterraneo, ma anche in rigorose partiture spaziali il periodo di partecipazione alle manifestazioni di lotta sociale (le opere contro l'imperialismo e la guerra del Vietnam). Attraverso l'informale, dove l'artista azzera l'immagine e l'essere umano ed incomincia ad organizzare segni e geometrie. Fino alla fondazione del gruppo «Geometria e Ricerca» (1976),grazie al quale De Tora individua nella geometria una risposta coerente al problema dell'organizzazione dei segni. Nelle opere degli anni '80 evidenti sono le citazioni da Leonardo, con la geometria che diviene quel «codice universale che ha attraversato la storia dell'uomo». Chiudono la mostra, realizzata con il contributo dell'assessorato alla Cultura del Comune, lavori recenti tra cui uno in digitale (“L'informatizzazione può veicolare l'immagine ma resta un mezzo: chi comanda il computer è sempre l'uomo”) e due installazioni inedite. La prima - «Labirinto 2003» sulla terrazza della Sala è composta da cinque cubi (uno racchiude un ovoide che contiene ac- qua di mare e sabbia) in ideale dialogo con le torri circostanti; la seconda - «Piramide 2003» - è una conversazione con il passato, con il solido che racchiude e protegge un seme di civiltà ed un nucleo di colori primari, l'essenza della pittura. Durante l'affollato vernissage sono stati letti contributi critici di Mario Costa, Riccardo Notte e del compianto Pierre Restany, mentre Tiziana De Tora ha recitato alcune poesie in tema con le opere in mostra; ha chiuso la serata la performance vocale ''Geometrie Musicali'' di Carlo Lomanto

 
ARTICOLO DI ANITA PEPE SU EXIBART.COM DEL 2 MARZO 2004

Indagine su uno degli storici astrattisti napoletani, in bilico tra purismo geometrico, metamorfosi cromatiche e suggestioni esoteriche. Un percorso antologico che parte dagli anni Sessanta e si sviluppa attraverso gruppi artistici e sodalizi intellettuali. Una documentazione su quarant'anni di ricerca ...

Ha un sapore vagamente baudelairiano il titolo dell'antologica di Gianni De Tora (Italia, 1941), premiata da un successo che ne ha prorogato di un mese la data di chiusura. Allestita nella Sala della Loggia a Castel Nuovo, The world of signs documenta un itinerario creativo lungo quasi quarant'anni in cui, ad onta delle accuse di solipsismo talvolta mossegli, l'artista ha spesso accettato e promosso il confronto dialettico attraverso esperienze collettive, aderendo fin dagli anni Settanta a gruppi come "Geometria e ricerca", "Gener-Azioni" e "Mutandis". Sodalizi che hanno guidato e corroborato in maniera determinante - ma non invadente - un già maturo percorso di sperimentazione individuale, coerentemente condotto nell'ambito di un astrattismo progressivamente arricchito da stratificazioni artistiche e filosofiche. Un astrattismo che negli anni Settanta assume connotati freddi e cartesiani: opere che si mimetizzano col bianco delle pareti e superfici fittamente quadrettate, in cui l'occhio dell'esecutore agisce da prisma, filtrando solo i colori primari. Negli Ottanta, De Tora abbandona la gabbia ortogonale, dismette il fondamentalismo geometrico per muoversi più liberamente nello spazio e dà l'abbrivo a quella metamorfosi cromatica che si compirà appieno nel decennio successivo, con una deciso incupirsi della tavolozza. "Sequenza 90" e "Trittico 99" sono polittici postmoderni, con sagome nere in cui il colore apre porte, spiragli, finestre, analogamente alle "Ouvertures", che lasciano intravedere pittogrammi di alfabeti remoti, reliquie di civiltà scomparse che, trasformandosi altrove in tracce di antichi tessuti urbani, rimandano alle radici del Mediterraneo, all'archeologia e al mito. Lo sviluppo e il consolidamento dello spessore speculativo conseguono un intensificarsi di simbologie, con esiti sofisticati ed ermetici. Il primo stadio di questo processo si affida alla parola scritta: ne "La pittura è scienza" De Tora trascrive Leonardo da Vinci, investigatore dei segreti della natura e teorico di una pittura sublimata come atto eminentemente mentale, di contro al mestiere banausico dello scultore. Altri riferimenti -più o meno appariscenti- sono disseminati tra tele, installazioni, mosaici e pittosculture: l'''ovo-labirinthus'', che compendia due tra i più ricorrenti simboli misteriosofici; quadrati, croci e triangoli, patrimonio di ogni repertorio iniziatico fin dalla notte dei tempi; lo specchio, magico strumento di illusione e riflessione; soprattutto, la "Piramide 2004", solido esoterico per eccellenza che De Tora carica di valenze emblematiche sotto il profilo personale, condensandovi in forma e colore le componenti fondamentali di una ricerca tuttora in corso.

 
ARTICOLO DI ANITA PEPE SUL ROMA DI NAPOLI DEL 25.1.2004

la mostra a Castelnuovo- Reliquie di civiltà scomparse nei “segni” di Gianni De Tora

Un happening musicale e poetico ha arricchito l'affollatissima inaugurazione della mostra di Gianni De Tora. Visitabile tutti i giorni (domenica esclusa) fino al 21 febbraio nella Sala della Loggia in Castelnuovo, l'antologica, curata da Vitaliano Corbì, documenta oltre un trentennio di attività dell'artista, fondatore nel 1976 del gruppo "Geometria e Ricerca" insieme a Barisanì, Riccini, Tatafiore, Di Ruggiero, Testa e Trapani e costantemente impegnato in numerosi sodalizi di rìcerca e sperimentazione. Nonostante l'impaginazione compressa, l'esposizione consente di leggere una linea di continuità nel lìnguaggio di De Tora: tele, installazioni, mosaici e pittosculture testimoniano un'evoluzione stilistica coerente con un astrattismo vissuto ed elaborato non solo artisticamente, ma rafforzato da supporti filosofici e matematici. Risalta, nel percorso cronologico, un incupirsi della tavolozza: tendono quasi a mimetizzarsi col bianco delle pareti le opere degli anni Settanta, fredde, cartesiane, in cui l'occhio dell'esecutore agisce quasi da prisma ottico, filtrando appena i colori primari; sono gli Ottanta a far da sponda tra il retaggio precedente e la metamorfosi cromatica che si compie appieno nel decennio successivo, con una decisa sterzata verso il nero, ravvivato da stesure blu elettrico e da acrilici fluorescenti, in lavori che smettono il rigore ortogonale per impossessarsi dello spazio con soluzioni più libere. Nelle sue razionali composizioni, De Tora assembla la più moderna astrazione di Rothko e Ad Reinhardt con i diktat dei pionieri del movimento: il quadrato suprematista di Malevic e l'individuazione, teorizzata da Kandinsky, di molteplici equilibri combinatori nella triade punto-linea-superficie. Accanto alle figure geometriche, nel ricchissimo "Mondo dei segni" (perché anglìcìzzarlo, nel titolo?) dell'artista confluiscono anche elementi che paiono pìttogrammì di alfabeti remoti, reliquie di civiltà scomparse che, trasformandosi in tracce di antichi tessuti urbani, rimandano alle radici del Mediterraneo, all'archeologia e al mito. Talvolta le lettere si coagulano nella parola scritta, che appare in forma di citazioni: riportate, in particolare, le osservazioni di Leonardo da Vinci, teorico di una pittura sublimata come atto eminentemente mentale e investigatore dei segreti della natura.Ed è proprio la discreta presenza del genio rìnascìmentale che espone la personale del Maschio Angioino ad un'interpretazione ermetica, suffragata da spunti più o meno appariscenti: il carattere inìziatico proprio delle speculazioni dei suddetti Kandinsky e Malevic; le uova-labirinto, che compendiano due tra i più ricorrenti simboli misteriosofìci; lo specchio, magico strumento dell'illusione e della riflessione; soprattutto, la "Piramide 2004", solido esoterico per eccellenza che Gianni De Tora carica di valenze emblematiche anche sotto il profilo creativo personale, condensandovi le componenti fondamentali di un quarantennio di passione e rigore al servizio dell'arte.

 
serata FNAC Napoli
 
 
 
 
 
 
TESTO DI DANIELA RICCI SULLA RIVISTA SEGNO DI PESCARA N. 194 DI GENN-FEBBR.2004
"I colori primari e le forme elementari della geometria sono sempre presenti nel mio lavoro. Esiste in me una forte volontà di partire dall'essenza delle cose. Di conseguenza la liber dei sensi è presente anche nelle programmazioni mentali". E' così che Gianni De Tora comincia a parlare del suo ultimo lavoro inedito, un'installazione di pittoscu1tura, che insieme ad altre significative opere farà parte della mostra antologica che sainaugurata a gennaio negli spazi espositivi del Castel Nuovo. Quattro cubi profilati in ferro dipinti in rosso, giallo, nero, bianco e blu, colori primari, appunto, e due neutri. Al centro di questa struttura, che richiama il motivo della merlettatura delle 4 torri del castello, un altro cubo dipinto di azzurro come l'acqua del mare che insieme alla sabbia andranno a riempire la forma geometrica completamente scavata e rigorosamente costruita con diversi materiali. In un'assolutezza formale questa scultura apre la strada ad una nuova concezione dell'elemento spaziale che si connota regolare e simmetrico nel suo assetto compositivo e simbolico di tipo archetipale come sipario per il resto dell'esposizione. Un'altra installazione realizzata in legno dipinto con colori acrilici e smalti in tre forme primarie, cerchio, triangolo e quadrato sul pavimento e su uno specchio riflettente fa sempre pensare al mare dando l'impressione al visitatore di un universo nuovo, una dimensione oltre cui si intravede al momento solo un frammento, l'opera stessa. Così dopo aver ammirato questi ultimi lavori, il visitatore inizia il suo viaggio alla scoperta dell'artista. Il percorso espositivo inizia con il periodo figurativo del '60 '61 quando l'artista era impegnato politicamente, protagonista nelle industrie come l'Italsider dove con diversi materiali realizzava atmosfere irreali e rarefatte. Subito dopo siamo nel periodo informale, fase durante la quale l'esplosione della ricerca portano De Tora alla piena gestualità e dove un filo rosso attraversa tutte le sue opere, una sorta di critica al mondo contemporaneo. "Dopo l'esperienza figurativa e informa1e in cui già avvertivo l'esigenza di ripartire il campo di indagine- spiega De Tora preparandoci al resto della mostra- che accoglieva segni e tracce in scansioni geometriche, nel periodo '64-'70 i miei interessi operativi sono confluiti verso la formulazione di strutture che veico1avano immagini di massa. Successivamente ho iniziato ad analizzare il problema della organizzazione dei segni percepiti deputando così la struttura geometrica a campo totale di indagine".Dobbiamo però aspettare fino al 1980 quando l'artista da una fase analitica e di grande rigore formale arriva ad una fase di sintesi totale in cui il colore si sensibillzza, la nettezza delle forme geometriche di partenza è volutamente messa in crisi e dove compaiono interessi materici e qualche elemento non geometrico. L'opera si presenta a se stessa indagando il suo metodo con i suoi stessi strumenti linguistici e creando uno spazio controllato e rigoroso sul piano formale, ma suggestivo e risonante e non di rado poetico ed intimista. Convivono in questo periodo elementi di architettura, tracciati e scavati nella materia, e compare anche il colore oro mai usato prima per riuscire a confrontarsi con momenti di ricerca più dialettica dove l'elementare e il complesso si equilibrano verso una libertà espressiva proiettata ad un nuovo immaginario pittorico. Ed è nel '91 che prendono corpo le carte intelate di grande formato in cui cforte attenzione per la pittoricità, la geometria rimane, ma compaiono numerosi simboli nelle opere di De Tora attraverso i quali intende soddisfare i disturbi dell'anima, il caotico affollarsi di idee, piani, progetti, percorsi di un flusso indistinto a tratti incomprensibile, fastidioso andare senza meta per dimostrare a se stessi di esistere. Una sorta di urlo afono di una sensibilità visionaria. Opere simboliche dove l'intento espressivo dell'iterazione dei segni consistono nel manifestare una ripetizione circolare che è propria della società tecnologica e industriale. La mostra poi arriva ai giorni d'oggi dove il segno geometrico nelle opere si evolve diventando scultura ed installazione, una volontà di scoprire il nascosto e l'assoluto per ricordare il malessere della nostra civiltà, ma contemporaneamente la manifestazione di un elemento positivo: la capacità dell'uomo di conservare pur nell'affollarsi dell'immagine tecnologica il contatto con le nostre radici primigenie. Una riflessione, in definitiva, quella di De Tora lucida e ordinata che implica una sorta di ansia spirituale colma di una compassione di un autistico isolamento, ma anche di una disinteressatà dedizione alla natura e al cosmo per rappresentare con onestà assoluta una via di accesso alle strutture profonde del reale .De Tora nel corso della sua attività artistica ricerca una dimensione umana, ripensando il nuovo e riallacciando il discorso degli antichi intraprendendo un viaggio che scende nelle oscure radici del vissuto come un fiume attraverso cui scorrono immagini che si fondono nella consistenza della durata.
 
ARTICOLO DI ANNARITA CARDAROPOLI SU NAPOLIONTHEROAD.ONLINE NEL MARZO 2004

Mostra antologica di Gianni De Tora

Gianni De Tora elabora, confronta, deforma, analizza la realtà fenomenica in ogni singolare caratteristica sviscerando fin che può, analizzandone le dovute difficoltà esistenti. La sua immagine della realtà diventa al fine forma geometrica in movimento ed in evoluzione continua: sintesi assoluta delle molteplicità cangianti ed irrazionali, assolutamente uniche di ogni singolarità presente. Lungo un percorso artistico molto lungo e che lo ha visto meritevole di numerosi premi, altrettante partecipazioni ufficiali e personali importanti, l'autore conta all'attivo quarant'anni di attività dediti alla creazione artistica oltre che al dibattito culturale. Sempre sulla cresta dell'onda e presente in continue sperimentazioni che non finiscono mai di stupire e che caratterizzano la sua operosità e la ricerca votata al nuovo, aborrendo ogni ripetitività. Con una critica ricchissima di interventi a suo favore, il maestro si colloca decisamente in una posizione privilegiata e raggiunta grazie anche ad un'attività instancabile oltre alla qualità indiscussa dei suoi lavori. "Il mondo dei segni" occuperà l'ultimo piano del Museo Civico di Castelnuovo fino al 19 febbraio, in una posizione di tutto rispetto e alla ricerca di uno luogo idoneo a legare nel modo migliore gli interminabili rapporti spaziali creati dalle sue opere. In un' accavallarsi di linee curve e dritte, di sequenze spaziali lineari e convulse, le opere esposte vivono un linguaggio autonomo e fuori dal tempo ma che presto si comprende essere l'unico in grado di rappresentare la nostra quotidianità, di spiegarcela sintetizzandola in modo chiaro e semplice. Nella molteplicità di figure geometriche che ne vengono fuori, accavallandosi o escludendosi a vicenda, ricorre incessantemente la circonferenza nelle sue svariate possibilità di intersezioni umane ed elaborazioni complesse, mantenendo comunque l'unicità propria e quella completezza appagante che la rende perennemente rinnovabile. Con una tecnica eccelsa ed una cura meticolosa ai singoli dati, De Tora lavora sull'evoluzione del soggetto stesso, sul suo farsi materico e mutare nello stesso pannello o in una susseguenza di pannelli ed inserti ordinati con logica. E' solo allora che ci si rende consci del lungo studio approntato dall'artista, dei passaggi difficili ed obbligati che l 'hanno portato a quella scelta ed a quell'unica organizzazione spaziale. Come un poliglotta capace di parlare un linguaggio universale conosciuto da lui solo ma in grado di dare un nuovo volto alla realtà intorno a noi, Gianni ci guida lungo il suo percorso creativo, attraverso i rapporti geometrici e non che regolano l'universo e ne dettano legge, per spiegarci passo passo come funziona il nostro mondo, come ogni elemento ha un suo spazio definito ed ogni cosa un suo moto ed una sua essenza chiara, semplice, lineare, indiscutibilmente giusta. Pannelli alla parete, pannelli poggiati a terra, labirinti scultorei in ferro nei colori primari fino alle possibili applicazioni degli specchi con il loro riflesso capovolto. "La pittura è scienza ... " rivela ciò che in tutte le altre opere resta velato e sottinteso essendo quasi la summa stessa della tecnica e della modalità del suo far arte, il libro guida, la testa, il cuore, l'anima dell'artista rivelataci in un' opera stessa e sottesa a tutte le altre. Cinque triangoli rettangoli compongono una figura nei tre possibili accostamenti che i loro stessi lati permettono. I due centrali mostrano lo studio attento che il maestro fa dei colori primari, del triangolo equilatero inscritto perfettamente in una circonferenza a sua volta inscritta in un triangolo rettangolo capovolto e quasi del tutto compreso in un altro triangolo dello stesso genere e che ricalca il più grande esterno di legno sul quale è raffigurato, essendo esso stesso uno dei cinque triangoli di partenza. L'indagine continua poi sui colori secondari e le loro mescole: il giallo e rosso insieme che danno l'arancio, poi il verde, l'indaco e il violetto, lo studio ripetuto delle figure in geometria piana e solida: la rotazione del triangolo che giustifica il rombo. Infine il bianco ed il nero ma non dati come gli altri colori bensì campiture degli stessi triangoli-tele, componendo essi stessi altri triangoli, combaciando in modo a tratti preciso altre volte meno in incastri a prima vista disordinati ma che rispecchiano un' organicità di fondo, un'unità del tutto ed una completezza che è tipica di tutti i suoi lavori e della realtà fenomenica che De Tora si sforza di riassumere. Il bianco e nero come forza completa e sintesi di tutti i colori essendone uno la summa, l'altro l'esclusione assoluta, trovano così forma nelle tele geometriche fuori e dentro, amalgamandosi all'oscurità attuale o nella forza propulsiva al nuovo ed alla speranza, perché se la sinteticità lineare della pittura di Gianni è simbolo di una positività concreta all'attualità, le sue linee deviate, la sua geometrizzazione sbilenca e sbilanciata fa più impressione ed è angosciosamente più terrificante di qualsiasi altra astrazione. Se la sua segue regole geometriche così precise e attentamente analizzate anche solo nella loro ascendenza-discendenza, nella loro presenza continua ed interrotta, come può l'interruzione o la frattura di quella continuità lineare scontata ed appagante, difficilmente concepibile in altro modo, non lasciare terribilmente ed angosciosamente disancorati, dispersi nel più cupo terrore?.

 
ARTICOLO DI CIRO RUJU SUL ROMA DI NAPOLI DEL 24.1.2004

Gianni De Tora, protagonista della ricerca astratta

La rassegna che si può ammirare, al terzo piano del Maschio Angioino, di Gianni De Tora, curata da Vitaliano Corbi con acume critico tanto da affermare, nel comunicato stampa, che l'artista è tra i protagonisti della ricerca astratta a Napoli e figura di rilievo nel più ampio panorama nazionale, è un'antologica che comprende, in una scelta selezionata, opere che vanno dal 1960 alla più recente produzione del nuovo secolo. L'artista nato a Caserta, ma napoletano di formazione, come apprendiamo dalle testimonianze del Sindaco Iervolino, dall'Assessore Furfaro del Comune, di Teresa Armato della Regione, del Presidente Lamberti della Provincia e di Nunzio Di Girolamo dell'Azienda di Soggiorno, è la dimostrazione, attraverso il suo percorso artistico, delle difficoltà di una generazione, che ha dato inizio, in quegli anni, alla propria attività. L'inizio del fare pittura di De Tora è identico e comune a tutti una schiera d'artisti napoletani, che non ancora vivevano il clima di rinnovamento che in Italia e soprattutto all' estero si respirava, si pensi che l'informale declina intorno agli anni sessanta, mentre a Napoli inizia solo da quel momento. Ragione questa che determina, e lo possiamo notare scorrendo le opere dell'autore, il percorso dell'artista napoletano che ha un inizio pittorico figurativo, nei casi migliori di un neo-impressionismo o post-impressionismo evidente, una fase informale, un ritorno figurale di tipo pop art, un concentrato d'astrazione lirico o geometrico per poi insistere nell'età della saggezza su uno dei filoni frequentati. Gianni De Tora, prima del 1970, l'antologica ne illustra il momento, attraverso un approfondimento dell'imagerie di massa e della pop part perviene all'esecuzione d'opere, dove i temi affrontati, sono per la maggior parte a sfondo sociale. Ed è proprio questo interesse sociale-umano che è consente d'intessere una vicenda articolata in quegli aspetti fisionomizzanti su cuì il pittore opera perché si evidenzi il suo essere. La riproduzione della vicenda reale (poniamo la guerra del Vietnam o la contestazione del '68) non è riprodotta sic et sempliciter ma viene ad essere arrìcchìta tramite un'artìcolazione di strutture, che servono a svincolare Ia stessa vicenda dal mero ambito circoscritto delsuo essere per assurgere ad emblema di una situazione universale: libertà, lavoro, pace. l mezzi linguistici, che l'artista in questi lunghi anni di tirocinio ha sperimentato, si sono mostrati validi per il ciò che si chiedeva. L'uomo, nel suoi aspetti più espliciti, ha dato a De Tora motivo per un intrecciare racconti dove, ora il naturalismo della figura, ora l'emblema si contendono lo spa- zio vitale deIla tela in un intrecciarsi dì segni e di spazi pieni e vuoti quasi a ritmare, più precisamente scandire, il tempo esistenziale. De Tora, partendo da un' indagine così cara agli artisti della nuova figurazione (Cremonini), è riuscito a.dare a questi temi una struttura attuale dove non è del tutto estranea la componente schematica dell'arte pubblicitaria, che anzi, vivificando questi temi,li carica di un'aggressività esplicita a tutto vantaggio per una lettura non ambigua. Dopo il settanta le visioni pittoriche dell'artista si dilatano in un percorso che sarà, come la mostra indica, teso verso il geometrico puro. II nuovo narrare di De Tora trova la sua essenza espressivo-pittorìca e la offre attraverso quei mezzi costruttivi che, seppur, come afferma Crispolti, sono più scritte che architettonicamente strutturate (1972/73), vengono ad avere una loro precisa architettura determinata dai vari passaggi cui è assoggettata Ia composìzlone iniziale. Nascono così da temi unici, possibilità infinite di modi di narrare. Questa volontà di narrare è l'elemento che conferisce all'operaztone sostanzialmente fantastico-geometrico di De Tora una sua connotazìone distintiva quale scelta appunto di una ricerca non strettamente geometrico-visiva (con tutte le sue regole psìco-analogiche) bensì di poesia geometrica, mirante ad un'evidenziazione non casuale della carica emozionale che l'elemento geometrico manipolato può avere com'espressìvìtà totale.

 
cartoncino di invito
 
Manifesto
 
ARTICOLO DI CLORINDA IRACE SU LA VOCE DEL QUARTIERE GIORNALE ONLINE NEL 2004

the world of signs di Gianni De Tora -inaugurata al Maschio Angioino la mostra antologica del noto artista

Chi lo conosce lo riconosce subito: i suoi triangoli, i suoi cerchi, i suoi quadrati e quelli incredibili colori che si ritrovano in tutte le sue opere, una sorta di filo che unisce i vari periodi e le varie stagioni di Gianni De Tora, artista noto al pubblico e, da sempre, impegnato in un discorso che vede la pittura partecipe delle problematiche sociali, umane. Non a caso ama anche scrivere poesie, il Maestro De Tora e presto pubblicherà un libro che raccoglie le sue migliori liriche. Che non sono separate dalla sua pittura, anzi, idealmente ad essa si collegano. Come nel caso dei "Labirinti" che ci accolgono sul terrazzo del castello, introducendoci alla mostra. Quattro installazioni colorate, dai colori primari che De Tora ama tanto, con al centro una sorta di "impluviurn" del 2000, una vaschetta con una forma ovoidale (altra forma ricorrente nelle opere dell'artista con evidente riferimento alla vita che nell'uovo ha origine) colma di un liquido azzurro che altro non è che acqua di mare. "Volevo subito creare un rapporto con il luogo in cui la mostra si colloca, quindi con il mare che dalle terrazze e dalle finestre del castello ammiriamo. E', inoltre, un segno della nostra mediterraneità a cui da sempre mi considero legato" dice l'artista, che accoglie i visitatori all'ingresso guidandoli in questo excursus sulla sua vita di pittore. Si comincia con le prime opere, quelle degli anni Sessanta che furono per l'artista le prime affermazioni: una in particolare riproduce un sommergibile che affondò colpendo la fantasia di De Tora che volle trasferire sulla tela le sue emozioni immediate. E fu subito successo per il ventenne pittore che agli eventi del mondo intorno a lui prestava attenzione e sensibilità. Si passa poi ad una serie di opere composte negli anni Ottanta in cui si va caratterizzando l'interesse per la geometria: i triangoli, i cerchi, i quadrati diventano forme privilegiate e si colorano di quei colori primari, rosso, giallo, blu che si arricchiscono delle parole di Leonardo Da Vinci, dal Codice pittorico: frasi inserite come segni pittorici in un contesto di vari materiali, dal gesso alla carta lavorata a mano, alla iuta dipinta per un effetto originale. Sempre triangoli in una sequenza che è stata esposta a Venezia in una mostra collaterale alla Biennale del 1976 che parte da una forma interamente colorata per sfumare gradualmente in altre forme dove le linee di colore si fanno sempre più sottili. E sempre in tema di sequenze, merita una citazione l'arcobaleno ante litteram di Gianni De Tora del 1980. A seguire, i lavori degli anni più recenti appaiono coerenti con i discorsi del passato ma assumono forme e materiali nuovi come i mosaici del 2003 che ci presentano le consuete forme geometriche impreziosite dall'armonico gioco delle tessere di vetro. Altrettanto intriganti le installazioni che occupano il corridoio centrale della sala: si comincia con l'ultima nata, una piramide al cui interno ritorna la forma ovoidale del Labirinto che ci ha accolti sul terrazzo, stavolta ricoperta di sabbia, altro elemento mediterraneo. Su di esso domina uno specchio, altro elemento frequente, quasi un rimando a ciò che noi visitatori vogliamo "vedere" ponendoci al cospetto di queste opere. Il Labirinto, dice De Tora, è l'emblema delle difficoltà di cui la nostra vita è costellata. Se ne usciamo siamo fortunati, perché i problemi sono tanti intorno a noi. Io ho voluto rappresentare così la difficile condizione dell'uomo, questa immagine mi è cara, ritorna anche nelle mie poesie. E tra pittura e poesia Gianni De Tora già si prepara alla prossime mostre di Milano e New York, nonché a soddisfare le molte richieste di opere che gli provengono dai visitatori (tanti) della mostra al Castel Nuovo. C'è persino un Americano che vorrebbe un'opera sulla guerra in Iraq ma forse non sa che De Tora ha disegnato l'arcobaleno molti anni fa!

 
ARTICOLO DI DANIELA RICCI SUL MATTINO DI NAPOLI DEL 18.2.2004

Pittosculture

È stata prorogata fino al 15 marzo la mostra antologica «The world of signs»· di Gianni De Tora in corso al Museo Civico Castelnuovo. «I colori primari e le forme elementari della geometria - spiega l'artista tra i protagonisti della ricerca astratta a Napoli- sono sempre presenti nel mio lavoro. Esiste in me una forte volontà di partire dall'essenza delle cose. Di conseguenza la libertà dei sensi è presente anche nelle programmazioni mentali»: cosi De Tora parla del suo ultimo lavoro inedito, un'Installazione di pittoscultura che insieme ad altre significative opere documentano i momenti più significativi del suo percorso artistico. Una selezione di lavori realizzati dal 1961 ad oggi curata da Vitaliano Corbi portano il visitatore in un "viaggio" alla scoperta dell'artista. Il percorso inizia con il periodo figurativo del '60-'61 quando De Tora era impegnato politicamente, protagonista nelle industrie come l'ltalsider, dove con diversi materiali realizzava atmosfere irreali e rarefatte. Subito dopo siamo nel periodo informale fase durante la quale l'esplosione della ricerca lo portano alla piena gestualità e dove un filo rosso attraversa tutte le sue opere, una sorta di critica al mondo contemporaneo. Arriviamo poi nel periodo '64-'70 quando i suoi interessi operativi sono confluiti verso la formulazione di strutture che veicolavano immagini di massa.

 
FOTO ©FABIO DONATO
 
     
 
     
 
     
 
     
 
     
 
     
   
 
ARTICOLO DI MARCO DI MAURO SU L'AVANTI - NAPOLI NEL 2004

Approda al Maschio Angioino la mostra The world of signs

Una labirintica istallazione in ferro e vetroresina introduce a “The world of signs”, la personale del maestro Gianni De Tora allestita nella Sala della Loggia di Castel Nuovo, fino al 19 febbraio. Un’ampia selezione di opere, a cura di Vitaliano Corbi, documenta le fasi più significative del percorso di De Tora: una serrata evoluzione, che muove dai sobri paesaggi urbani del ‘61, memori del pittoricismo di Rosai o Morandi, e si conclude con il passaggio dalla tela all’istallazione, che mira ad estendere gli orizzonti dell’astrazione geometrica, oltre i confini angusti della superficie pittorica. Fra questi due estremi si svolge un’incessante ricerca, che si riflette nelle molteplici svolte che qualificano il percorso di De Tora. Nel 1962, animato da spirito irruente, l’artista ventenne volge lo sguardo agli States ed è contagiato dalle impronte materiche dell’informale. Allora De Tora aggredisce la tela con impeto nervoso, stende sulla superficie un vorticoso accumulo di pennellate dense, in cui scompare ogni traccia di figurazione. L’artista matura un’ulteriore svolta alla metà degli anni ‘60, quando recupera il versante della figurazione e, sollecitato dai trionfi della pop art, fissa le icone della cultura contemporanea in composizioni geometriche. Con linguaggio da manifesto pubblicitario, il giovane De Tora abbraccia gli ideali della contestazione e denuncia la guerra, l’oppressione, la violenza. Nel 1969 inizia a depurare la forma del dato iconico, del sostrato figurale e narrativo, finché approda all’astrazione geometrica, che rappresenta lo stadio definitivo del suo cammino artistico. Il maestro fissa le immagini entro un rigido controllo strutturale, che tende a definire soluzioni universali, sistemi archetipici e nuove istanze linguistiche. Come osserva acutamente Arcangelo Izzo, De Tora aspira a “rappresentare le ragioni interpretative, non più imitative, della realtà globalmente intuita come antropogeografia.” Nelle rigorose, geometriche campiture di colore puro s’intuisce l’ordine che domina l’universo, le forze cosmiche con le quali l’uomo deve misurarsi, consapevole della propria inferiorità e impotenza. Dopo la fondazione del gruppo di “Geometria e Ricerca”, nel 1976, si colloca il periodo più fecondo di Gianni De Tora, che esprime una sottile angoscia esistenziale nell’aggregarsi o svanire dei colori primari, nell’estensione o riduzione del campo visivo, nei segni liberi che invadono gli spazi geometricamente definiti.

 
ARTICOLO DI MARIAGIOVANNA CAPONE SU NAPOLI Più LA VERITA' DEL 12.3.2004

LA VISIONE DELLA REALTA' DI GIANNI DE TORA

"La realtà non ci viene data, ci viene proposta". La frase di Immanuel Kant non è stata scelta casualmente da Gianni De Tora, per aprire il suo impeccabile catalogo (ed.Altrastampa). In essa è racchiuso e sintetizzato il percorso stilistico dell' artista casertano lungo oltre quarant'anni. Una" narrazione" che potrà essere apprezzata ancora per pochi giorni. "The World of Signs" è la personale di De Tora allestita nella Sala della Loggia del Maschio Angioino (fino al 15 marzo: lun- sab ore 9-19), che proprio in questi giorni ha raggiunto il prestigioso traguardo delle duemila presenze. Un successo che giunge a vent'anni dalla sua ultima personale napoletana, dopo aver esposto in Canada, Germania e Francia, e con altri due appuntamenti in vista: in Svizzera (fine marzo) e New York (6 maggio). Un'antologica, curata da Vitaliano Corbi, costituita da una serie di opere realizzate dal 1961 fino ad oggi, per tracciare un riassunto del suo percorso artistico attraverso i momenti salienti della sua arte. Un' autentica testimonianza dei momenti più significativi del percorso dell' artista: dalle prime esperienze artistiche degli anni Sessanta sino alla fondazione del gruppo Geometria e Ricerca (1976) e alle più recenti opere inedite. Geometrie perfette, colori primari, prospettive assolute per un "mondo dei segni" che racconta con suggestioni e raffinatezza la vita dell'artista campano attraverso le sue pittosculture, i suoi mosaici, le sue installazioni e le sue opere pittoriche. "The World of Signs" è realizzata con il contributo dell' Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e con i patrocini di Regione Campania, Provincia di Napoli e Azienda Autonoma di Soggiorno, Cura e Turismo di Napoli. Tra i lavori più suggestivi "Ovo-labirinthus" , che compendia i più ricorrenti simboli misteriosofici: quadrati, croci e triangoli, patrimonio di ogni repertorio iniziatico Fin dalla notte dei tempi; lo specchio, magico strumento di illusione e riflessione; e la "Piramide 2004" (nella foto), solido esoterico per eccellenza che De Tora carica di valenze emblematiche sotto il profilo personale, condensandovi in forma e colore le componenti fondamentali di una ricerca tutt'ora in corso.

 
ARTICOLO DI STEFANO DE STEFANO SUL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO DEL 28.1.2004

L'antologica- Astrazione e geometria nel mondo si De Tora

E' sicuramente la mostra più ampia e significativa di Gianni De Tora, la grande antologica dell'artista napoletano appena inaugurata al Castelnuovo, dove resterà fino al 19 febbraio. Nella Sala della Loggia, infatti, sono esposti lavori che testimoniano gli oltre quaranta anni di storia creativa di De Tora. La mostra si intitola "The World of signs", ovvero il mondo dei segni, ed esprime in sintesi l'indirizzo prevalente nella ricerca di uno dei protagonisti dell'astrattismo napoletano, divenuto poi figura di rilievo di quel filone nel più ampio panorama nazionale. Formatosi negli anni '60 De Tora è stato tra i fondatori del gruppo Geometria e Ricerca. Dopo alcune esperienze a Parigi e a Londra, nel 1973 con la Galleria "Numero" di Fiamma Vigo ha esposto in Mostre personali e nelle Fiere d'arte di Roma, Bologna, Dusseldorf e Basilea. Nel 1975 ha partecipato con le strutture riflesse alla X Quadriennale d'Arte di Roma. Dal 1979 al 1981 ha poi approfondito le relazioni tra opera d'arte ed ambiente. Ha esposto in gruppo al Museo del Sannio, alla Kunsthalle di Vienna, alla XVI Biennale di San Paolo del Brasile, alla Biennale di Milano, alla Biennale Internazionale Valparaiso (Cile), al Museè de Maubege (Francia), all'Art Museum of Rauma (Finlandia). Alle numerose partecipazioni a mostre collettive si sono alternate importanti personali in Italia e all' estero. Tra queste sono da segnalare quelle presso gli antichi Arsenali di Amalfi (1984), a cura di Pierre Restany; la mostra personale alle logge del Vasari, Arezzo (1985); quella presso The ltalian Cultural Centre, Vancouver (1987); al Musèe Municipal de Saint-Paul, Francia (1991); al Museo Civico di Gallarate, (1993); al Centro Polivalente Dehon, Bologna (1994); quella presso la Galerie Lauter Manneim, Germania (1994). Il pubblico del Maschio Angioino potrà quindi osservare una selezione di lavori realizzati dal 1961 ad oggi, curata dal critico Vitaliano Corbi, che documenta i momenti più significativi di questo percorso, dagli esordi delle sue prime esperienze degli anni Sessanta, che videro l'artista appena ventenne confrontarsi con una figurazione che traduceva in rigorose partiture spaziali le icone più significative del crescente immaginario di massa, fino alla fondazione del gruppo "Geometria e Ricerca" avvenuta nel 1976, con il quale l'artista individuava nella geometria una risposta coerente al problema dell'organizzazione dei molteplici segni delle sue composizioni. Il percorso della mostra è poi chiuso da alcune installazioni del tutto inedite (tra le quali "Labirinto") e da altri lavori eseguiti negli anni più recenti. Il catalogo, infine, realizzato da altrastampa edizioni, sarà venduto nel corso dell'intero periodo della mostra al prezzo di 5 euro (anziché 15 euro) in favore dell'organizzazione non governativa Emergency.

 
copertina Qui Napoli
 
ARTICOLO DI FEDERICA DE VIZIA SUL QUOTIDIANO DI BENEVENTO DEL 2004

Le sue opere al Maschio Angioino- I SEGNI DI DE TORA -L'artista continua a cercare i “colori dell'arcobaleno quando erano puliti”, guardando con molta attenzione ai “colori della storia”

Nella Sala della Loggia del Maschio Angioino di Napoli resteranno esposte le opere di “ The World of Signs”, mostra antologica di Gianni De Tora, protagonista della ricerca astrattista a Napoli e figura di rilievo nel più ampio panorama nazionale. L'esposizione è stata curata da Vitaliano Corbi e sostenuta dall'assessorato alla cultura del Comune e della Provincia di Napoli, nonché da quello della Regione Campania e da vari sponsor. La selezione dei lavori realizzati, dal 1961 ad oggi, documenta i momenti più significativi del percorso artistico di De Tora. Dopo alcune esperienza a Parigi e Londra, ha tenuto personali a Roma, Bologna, Dusseldorf e Basilea. Ha esposto tra l'altro anche in una collettiva al Museo del Sannio di Benevento. La sua poetica tende a sottrarsi alla costrizione delle simmetrie, per un percorso adeguato ai drammi ed agli squilibri del presente. Le sue tecniche spaziano dal graffito all'acrilico, dal collage e all'olio con una forte accentuazione del pigmento colorico: gamme di colori sfumano fra ori e argenti. Tutto per cercare di fissare, anche dentro una struttura geometrica, i termini di una mutazione di natura fluida e sfuggevole. Il suo linguaggio così freddo, preciso e scarno si popola così di mille allusioni, di idee, di storia vissuta, ma anche di speranze. De Tora insomma, continua a “cercare i colori dell'arcobaleno quando erano puliti”, guardando tuttavia con estrema attenzione ai “colori della storia”.

 
TESTO DI CLORINDA IRACE SULLA RIVISTA TERZOCCHIO DI PARMA -2004

SUCCEDE A NAPOLI…INVERNO

Natale a Napoli… non vi racconterò delle polemiche che l’installazione di Richard Serra ha suscitato in città…no, sarebbe di parte. Preferisco l’oggettiva descrizione dell’opera o meglio, della visita all’opera che tutti possono fare liberamente passando dalla nostra piazza più famosa. Si “entra” nel cunicolo che ti introduce verso il centro dell’opera che è poi una sorta di spazio circolare a cielo aperto, un ideale centro del mondo, secondo l’artista. Le pareti del cunicolo sono strette e l’odore è forte: che incivili questi Napoletani, non hanno capito che trattasi di un’opera d’arte, hanno pensato che il Comune avesse installato un bagno pubblico creativo proprio nella piazza più bella che c’è… e come in ogni bagno pubblico che si rispetti non mancano le scritte: irriverenti, romantiche, tvb e tat di ultimissima generazione, date nei cuoricini o ricordi di scolaresche che sono passate di lì. Carine, in fondo. Un contributo all’opera che si è contaminata con l’apporto dei cittadini, dei passanti, dei turisti. Se non fosse per quell’odore ci si rimarrebbe più a lungo. Giunti al centro c’è l’odore di candeggina, è passata di lì la squadra delle pulizie ma le scritte alle pareti sono rimaste lì, indelebili. Il contributo della città. Che di certo non ha imparato di più in fatto di arte. O no? Serra, dal canto suo, non si è dilungato in spiegazioni e all’Accademia di Belle Arti ha risposto con un gestaccio alle provocazioni di docenti e studenti. …Ubi maior… Soddisfatti di contro i nostri amministratori che hanno investito un bel po’ di risorse pubbliche per il monumento. Tant’è… Abbiamo allargato i nostri confini. Fortuna che come sempre Napoli si dà da fare e gli artisti “fuori dal coro” un posto lo trovano sempre: a Sant’Arpino, paese tra Napoli e Caserta c’è stato un piccolo grande evento, l’apertura di una pinacoteca di arte contemporanea che è un esempio di come si può diffondere l’arte senza grosse operazioni economiche, senza interessi particolari ma solo per il gusto di offrire uno spazio agli artisti e un luogo di incontro ai visitatori. Organizzato da alcune associazioni locali e curato da Rosario Pinto, il museo di Sant’Arpino ripropone la formula del museo Bargellini di Pieve di Cento: gli artisti hanno donato un’opera creando così la collezione della pinacoteca. Folto il gruppo delle donne, da Maria Pia Daidone a Clara Rezzuti, Rosa Panaro, Matelda Balatresi e Rosaria Matarese. In buona compagnia maschile: Verio, Pappa, Chiancone, De Stefano e tanti altri. Ed in città un’altra donna, Ilia Tufano, animatrice dell’associazione MA, (Movimento Arte) ha proposto per Natale le opere di Giuseppe Pirozzi, settantenne scultore napoletano, ex docente dell’Accademia di Belle Arti. Opere che sorprendono per la loro bellezza, per la gradevolezza delle forme dietro cui si intuisce la volontà dell’autore di rappresentare un mondo, il nostro mondo, attraverso una serie di oggetti che diventano simboli di percorsi mentali da lui compiuti. Le sedie, ad esempio, che per Pirozzi sono un elemento ricorrente sin da quando lesse il libro di Elias Canetti “Massa e potere” Nell’immagine della sedia, il potere, la poltrona, ma anche la casa, la stanzialità, il “posarsi”. E’ come se sulle sedie l’autore avesse posato i propri pensieri che su questo supporto si sono materializzati. Quest’estate l’idea della sedia è tornata in auge con un elemento nuovo, il fico. Frutto di riflessioni fatte durante le passeggiate mattutine ad Atrani, cittadina della costiera amalfitana, ricca di giardini da cui si intravedono fichi selvatici bellissimi. In mostra anche una serie di gioielli in argento che ripropongono i temi delle sculture, gli oggetti presenti in esse, attraverso ceselli minuziosi e riuscitissimi. Indubbiamente a molti piacerebbe avere nel salotto una delle bellissime sedioline esposte alla mostra così come ogni signora ambirebbe ad una di quelle collane con bellissimi ciondoli incrostati di lettere, forme ed altri elementi amati dallo scultore. Altri rimandi, altri collegamenti alla parola scritta nelle opere di un altro autore napoletano interessante: Gianni De Tora, in mostra al Maschio Angioino con un’antologica che racchiude i lavori degli ultimi quaranta anni. Ama scrivere poesie, il Maestro De Tora e presto pubblicherà un libro che raccoglie le sue migliori liriche. Che si collegano alla sua pittura. Come nel caso di una delle opere più recenti, “Labirinti” che ci accoglie sul terrazzo del castello, introducendoci alla mostra. Quattro installazioni colorate, dai colori primari che De Tora predilige, con al centro una sorta di “impluvium” del 2000, una vaschetta quadrata con una forma ovoidale - forma ricorrente nelle opere dell’artista, con evidente riferimento alla vita che nell’uovo ha origine - colma di un liquido azzurro che altro non è che acqua di mare. L’idea è quella di creare un rapporto con il luogo in cui la mostra si colloca, quindi con il mare che dalle terrazze e dalle finestre del castello si ammira Il labirinto è per l’artista il simbolo del percorso dell’uomo, un percorso irto di difficoltà che richiede la continua ricerca di strade idonee per salvarsi. E’ un’immagine forte che dà il titolo anche alla raccolta di poesie. Molte le opere esposte, dalle prime esperienze degli anni Sessanta agli ultimi mosaici del 2003 in cui compaiono costanti le geometrie tanto amate da questo autore in un caleidoscopio di tecniche, materiali ed “effetti speciali” dovuti al sagace uso di specchi che sembrano chiedere al visitatore di entrare nell’opera e dare il proprio contributo. E a proposito di contributi, mi sembra degno di nota quello offerto da alcuni docenti e studenti del Liceo Artistico di Napoli che, in sintonia con un progetto antiracket ed antiusura del Comune, hanno dato vita ad una piccola-grande mostra di segnalibri dedicati alla lotta a queste antiche piaghe che affliggono la città. Un kit con quaranta segnalibri tratti dagli originali in mostra è stato distribuito nella speranza che le immagini possano più delle parole in una lotta così difficile. Per un futuro migliore con l’aiuto degli artisti del futuro!

 
Dettaglio fotografico de' "LABIRINTO" - 2004
 
 
 
 
 
TESTO DI PIERRE RESTANY PER CATALOGO DELLA MOSTRA
... È bello in un periodo in cui l’Italia attraversa un momento difficile, che ci siano ancora queste isoledi libertà del pensiero creativo.Io ritengo che questo felice incontro abbia proprio questo significato. La storia ci ricorda momenti di repressione della cultura. Ecco perché è importante poter parlare di questo tipo di libertà oggi ed essere in un ambiente democratico a discutere d’arte. Questa è la temperatura mentale e sentimentale del mio amico De Tora e delle sue opere. Sono venuto qui non solo per fargli i complimenti, ma soprattutto per testimoniare la mia amicizia nei suoi confronti, una vecchia amicizia che dura da più di vent’anni, è stato per me come un modo per ritrovarlo. Qual è il messaggio della pittura di De Tora? Credo che il Sindaco abbia detto una parola giusta, alludendo a questa geometria umanista, che potrebbe proprio definire bene lo stile e soprattutto lo sviluppo interno dell’opera del nostro artista e credo che questa analisi sia molto importante e precisa. È vero che la Magna Grecia abbia, per molti aspetti, continuato una tradizione di vero Umanesimo Razionale, ed il sud, che incarna De Tora, è un sud razionale e nello stesso tempo irrazionale, tra ordine e disordine e comunque di grande spessore umano. È vero che lo sviluppo interno della sua opera parte da un certo lirismo espressionista, per arrivare molto presto ad una codificazione semiotica veicolata da un impianto geometrico minimale. Da questa semiotica geometrica emerge il ritmo melodico del cromatismo mediterraneo. Credo che in questo senso la sobrietà operativa in cui De Tora sta sviluppando questo incontro sintetico tra pittura e segno, è la realizzazione di un sogno poetico e di passione umanistica. La pittura di De Tora ha dunque un chiaro schema di lettura che corrisponde ad una vocazione alla libertà di pensiero di cui parlavo prima. Insomma, nell’osservare questa pittura mi sento davanti ad un’iconografia,non sacra, ma di deontologia laica. Non voglio fare del sacralismo abusivo, ma non voglio rendere metafisico il linguaggio che non lo è, però questo modo di intendere la pittura è come una lezione morale. Mi sento dematerializzato e più ricco di emozioni davanti alla pittura di De Tora. È con questa osservazione di tipo etico che vorrei concludere riaffermando il senso di stima ed amicizia che mi lega a questo artista di talento. Sono felice di essere con voi a dialogare, in un Museo che ospita cultura visiva.
 
TESTO DI MARIO COSTA PER CATALOGO DELLA MOSTRA

"Geometrie" di Gianni De Tora

Ingenuo e incauto miraggio è quello che ci fa parlare di un soggetto, di uno stile, di una continuità, di una persistenza, di uno sviluppo o, ancora peggio, di un gruppo, di un movimento, di una linea comune, e così via. Solo frammenti e resti, resti materiali come scritture, pietre incise, tele colorate… ed altre cose, fatte e messe a consumarsi nel mondo. Visita allo studio di Gianni De Tora. Che cosa unisce queste tele cariche di spessi colori raggrumati, queste antropomorfe immagini da incubo, questi indecifrabili racconti, queste scritture date a leggere nel quadro, questa varia determinazione al geometrismo, questi pezzi che evocano uno spazio esterno per esistere? quali rimandi annodano tutto questo e come può tutto questo rinviare ad un soggetto? a quel "soggetto", o meglio a quello scarto continuo tra una soggettività e l'altra, che Gianni De Tora è stato nello spazio-tempo definito della sua esistenza passata? Solo appunti, dunque, appunti e brandelli di scrittura su un gruppo o due di cose che sembrano possedere una intenzione o comunque una cifra comune. Il rapporto tra la pittura e la geometria non è cosa recente. La geometria ha costituito per secoli la struttura nascosta dell'immagine; qui l'immagine è stata niente altro che il rivestimento narrativo di un essenziale e sottostante ordine geometrico: la sezione aurea e la teoria delle proporzioni, Luca Pacioli e Piero della Francesca, il platonismo e il neo-pitagorismo rinascimentali. Sconfitta per lungo tempo dall'opulenza barocca, dal sensismo dell'età dei lumi e dall'espressionismo romantico, la geometria riacquista vigore in molti settori delle vecchie avanguardie ma cambia esistenza, risale in superficie e, in qualche modo, comincia a farsi vedere, a mostrarsi allo sguardo; qui non è più il nascosto dell'immagine, ma immagine essa stessa e in un modo del tutto nuovo: il quadro diventa una superficie da dividere, organizzare, configurare geometricamente. Nel geometrismo freddo di De Tora c'è ancora un'altra idea e un'altra messa in opera della geometria. Anche qui, come già nelle avanguardie, c'è la perfetta consapevolezza del quadro come di un oggetto in sé, come di una superficie da ricoprire, ma qui, ancor più che nelle avanguardie, l'immagine vuole essere inespressiva, slegata non solo da ogni rimando referenziale ma anche da ogni radicamento nel soggetto. Ed è per questo che la geometria non solo non costituisce più l'impalcatura invisibile dell'immagine, come era nell'antico, ma non consiste neppure in una arbitraria e soggettiva partizione della superficie del quadro, come in tanti lavori delle avanguardie. La geometria diventa qui fenomeno, viene cioè fenomenicamente e in senso proprio data a vedere, la geometria delle figure euclidee, che esibisce se stessa come immagine in maniera del tutto autogenetica ed autosufficiente. Le stesse procedure di implementazione messe in atto per costruire l'immagine, la riflessione e la ripetizione, stanno ad indicare una volontà di non ingerimento e la determinazione per la oggettività sé-operante della costruzione. Ma, con gli anni, con una mossa discontinua e non riconducibile né all'unità di una storia né alla linearità di uno sviluppo, una nuova idea di geometria, di un geometrismo caldo, si va imponendo: una geometria che nega se stessa, che rigetta la sua essenza intellettuale, che ha bisogno della materia per esistere, che accoglie segni che le sono estranei, che si accampa concretamente nello spazio fisico. Tutto questo, ed altro ancora, altro di cui non scriviamo, costituisce il complesso dei lavori di Gianni De Tora che ci aiuta come pochi altri a concepire la "personalità artistica" come il dominio degli scarti e delle rotture piuttosto che come l'immutabilità, ormai obsoleta, dell'identità e dello stile.

 
TESTO DI RICCARDO NOTTE PER CATALOGO DELLA MOSTRA

L'estasi della razionalità

Le ragioni delle geometrie e delle matematiche sono penetrate così a fondo nelle menti e nei sensi di ogni essere umano, e hanno poi modificato in misura così rilevante le culture dell’intero pianeta da costruire nel tempo le fondazioni di una seconda natura, e si direbbe, anzi, quasi di una seconda pelle. Non è però necessario essere in prima persona geometri o matematici – come si richiedeva agli antichi discepoli dell’Accademia platonica – per varcare con pieno diritto questa soglia della percezione. Geometrie e matematiche sono nascoste nei prodotti e nei processi del nostro quotidiano divenire, ne costruiscono le autentiche ragioni d’essere, i modelli di organizzazione e le strutture portanti, cosicché davvero nessuno sfugge all’impero della logica e alle sue ricadute. L’arte, com’è noto, ha intuito il valore psicodinamico di questo dominio del pensiero e dell’esperienza fin dagli albori della scienza prospettica, ma è il secolo appena trascorso che ha assunto nell’arte l’astrazione geometrico-matematica come sua naturale ossatura. De Tora si inserisce in questa tradizione ormai più che secolare. Il suo ragionare intorno alle infinite combinazioni fra punti, linee, superfici e il suo sperimentare i valori cromatici concepiti come relazioni fra variabili affiorò molto presto, perfino in una giovanile produzione figurativa influenzata dal discorso, all’epoca imperante, sui segni dell’industrializzazione, della metropoli e dei media. Eppure, a ben vedere, anche in quelle esperienze si riconosceva il sostrato di una riflessione sugli equilibri, sulle simmetrie e sulle strutture topologiche. Una persistenza di intenti che attendeva soltanto un pretesto per giungere in superficie, per farsi fonte primaria di ricerca visuale. Questo passo è definitivamente compiuto già nei primi anni ’70, e prosegue in intensità e profondità quando De Tora partecipa alla fondazione del gruppo “Geometria e Ricerca”. Le innumerevoli opere sul tema delle strutture riflesse o quelle sulle forme ricorsive ne costituiscono un esempio illuminante e di grande pregnanza estetica e teoretica. Si ragiona sul fatto che le trasformazioni geometriche permettono quantomeno di erodere quelle abitudini definitorie, o per meglio dire quegli schemi di pensiero che sono il frutto di un’epistemologia ingenua ma ancora molto diffusa, anche fra gli artisti. Le operazioni formali di De Tora sono dunque, senza esclusione alcuna e senza tentennamenti, interamente guidate dall’intenzione di sollecitare meditazioni sull’essenza stessa della forma, di qualsiasi forma. Nelle opere di più recente conio la semplicità schematica dei solidi platonici e delle proiezioni si innerva nella complessità delle geometrie non euclidee e degli insiemi frattali, come è evidente, ad esempio, in “Labirinto 2002”, in cui De Tora, stabilendo nello spazio una struttura che è anche un emblema, lo fa però utilizzando vari registri. Si parte quindi dal cubo, e dal bianco, intesi come primitive della vista intellettuale e della visione fisica. Ma si tratta di un cubo già implicato in una geometria di ordine differente, poiché in esso si fa strada una convessità che esprime la potenzialità della curvatura, il passaggio alla magia proiettiva delle coniche. Ma l’impianto complessivo dell’installazione si sviluppa in modalità che illustrano i rapporti fra la dimensione topologica e la dimensione frattale. La struttura, nel complesso, ricorda i primi passi dello sviluppo di una curva di Peano, e la sua sconcertante progressione infinita verso un numero finito di dimensioni. Però, è anche vero che nelle invenzioni di De Tora si riconosce sempre un saggio lavoro di mediazione fra il formalismo e la forma. Per ottenere ciò è necessario bloccare il processo di analisi a un livello in cui sia ancora possibile gettare un ponte segnico sul consueto e normale “insieme delle cose”, cioè sugli oggetti riconoscibili, posti, per così dire alla scala dell’umano. Così l’opera della ragione astratta può ancora intessere un dialogo con il mondo della vita, e farsi anche oggetto di commento, se non di aperta contemplazione. Un dialogo di varie complessità che è anche metafora, in questo caso la metafora dell’alto castello, del luogo inaccessibile e segreto per rarefazione semantica e per scopo.

 
TESTO DI VITALIANO CORBI PER CATALOGO MOSTRA

GIANNI DE TORA

LA "DOLCE ANGOSCIA" DELLA GEOMETRIA

Ho conosciuto Gianni De Tora nel 1970, in occasione di una sua personale alla Galleria San Carlo. Egli veniva allora da un decennio di intense ricerche pittoriche, avviate, tra il '60 e il '61, con una serie di paesaggi di largo impianto compositivo, che per l'accorta esplorazione dei gradienti luminosi, condotta nel corpo di una densa e morbida pasta cromatica, conservavano qualche memoria della solenne e dolce architettura spaziale di Morandi. Nel breve giro di qualche anno egli, però, aveva ribaltato questo delicato e sobrio pittoricismo tonale nell'aspra matericità di un informale di evidente matrice espressionista, che non incrinava la compattezza della compagine plastica, investendola con la violenza gestuale del segno, ma anzi si serviva di questo come di una spessa e scura linea di contenimento entro i cui argini anche le più incandescenti scaglie di colore erano costrette a riaggregarsi. Le scelte tematiche rivelavano l'interesse del giovanissimo De Tora per le imprese spaziali, ma stranamente le figure degli astronauti chiusi nelle loro capsule spaziali e spinti in primissimo piano, fino a dilatarsi ed acquistare dimensioni monumentali, invece di suggerire una sensazione di dinamismo e di leggerezza, mostravano tutta la loro corposa e greve fisicità. E questa si sarebbe ulteriormente accentuata di lì a poco, in altri dipinti di oli miscelati con sabbia che risucchiavano il dato iconico nello agglomerato materico e ne lasciavano in vista solo qualche enigmatica traccia. Nella seconda metà degli anni sessanta, Gianni De Tora, accogliendo la spinta dell'immaginario di massa veicolato dalla pop art, ma più ancora sollecitato dalla propria acuita coscienza critica, attenta alla radica1ità dei conflitti sociali e delle contraddizioni della cosiddetta civiltà dei consumi, riconquista il versante della figurazione. Nella personale del 1970, di cui s'è detto all'inizio, fu esposta una serie di dipinti che documentavano questa fase della sua ricerca, giunta al suo momento più maturo e quasi conclusivo. Gli "interni" di questo periodo (si veda, ad esempio, La figlia dei fiori, del 1966, ma anche Telecronache, del 1968) hanno quasi sempre luci fredde e basse, rese più livide dal contrasto con le lunghe barrature rosse che le attraversano, quasi a creare una sensazione di irrealtà o, meglio, a suggerire il loro carattere di immagini virtuali. Ma il fatto più interessante è che mentre qui la scansione geometrica delle superfici cerca appoggio nella forma degli oggetti o nell'architettura dell'ambiente rappresentato, in una serie di altri dipinti, che si spingono fino al 1969, l'elemento geometrico interviene dall'esterno a circoscrivere l'area dei referti iconici e a coordinarli tra di loro, con una logica che è insieme narrativa e simbolica. In queste opere domina il motivo circolare che - come il campo di un obbiettivo fotografico, uno spotlight o un disco segnaletico - isola dal resto della composizione l'episodio su cui l'artista vuole concentrare l'attenzione dello spettatore. Si direbbe che De Tora ricorra a un procedimento del linguaggio pubblicitario per rendere più efficace la sua denuncia dell'orrore della guerra. Ma, in realtà, oggi sono immagini che, sebbene nate da un' esplicita intenzione di protesta, portano un messaggio - e lo scriveva Antonio Del Guercio già nel 1970 - sospeso nella tensione tra "fantasticheria spaziale" e "dolente realtà terrena". Come si sarebbe capito facilmente nel seguito della ricerca, il percorso di De Tora lungo il margine più sgombro della "neofigurazione" segnalava il nuovo senso di marcia che il giovane artista stava imboccando. Egli puntava con coerenza verso un duplice obiettivo: di progressiva depurazione del dato iconico e di rigorosa definizione della struttura geometrica dell' immagine. Ed è, infatti, sorprendente la coincidenza degli schemi compositivi, quasi nel senso letterale della loro sovrapponibilità, che risulta con tutta evidenza dal confronto delle opere "neofigurative" riprodotte nel catalogo del 1970 con quelle "astratte" del catalogo pubblicato tre anni dopo in occasione della mostra nella Galleria Fiamma Vigo di Roma. Arcangelo Izzo ha colto questo passaggio con grande tempestività quando, nel 1973, ha accennato all'interesse dell'artista per il "potere simbolico delle forme e dei colori agenti sulla percezione visiva" e ha sottolineato l'intenzione, allora in pieno corso, "di eliminare il motivo raccontato e di deputare le forme geometriche a rappresentare la tensione interna o a rappresentare le ragioni interpretative, non più imitative, della realtà globalmente e integralmente intuita come fito- bio-zoo-cosmo-antropogeografica". L'astrazione, dunque, in Gianni De Tora nasce all'interno del sostrato figurale dell'immagine, come esigenza - scriverà infatti Enrico Crispolti nel 1975 - di "fissare entro un controllo strutturale geometrizzante i termini di una mutazione di natura, infinitamente fluida e sfuggevole". Il campo di queste mutazioni, che in qualche misura corrisponde alla "realtà globalmente e integralmente intuita" di cui aveva parlato Izzo, costituisce il terreno originario, e mai del tutto abbandonato, da cui muove la pittura di De Tora, anche nei momenti in cui la spinta astrattivo-geometrizzante è particolarmente forte. Gli anni della partecipazione al gruppo Geometria e Ricerca, durante i quali l'artista individua nella geometria una risposta coerente al problema dell'organizzazione dei segni, rappresentano il momento di più stringente impegno nell'esperienza astratta. Tuttavia, anche quando l'obiettivo della quantificazione matematica della forma sembra diventare prevalente, la geometria non viene considerata mai come un modello di linguaggio autoreferenziale. Per De Tora vale più ancora che per gli altri componenti del gruppo la considerazione che lo spostamento d'accento, rispetto alla tradizione della linea astratto-concreta napoletana, dal ruolo sociale dell'arte alla sua dimensione linguistico-conoscitiva, è tutto sommato un fatto secondario nel contesto della continuità di una posizione che insistendo sulla concretezza del fare arte entrava consapevolmente in polemica con le tendenze comportamentistiche e concettuali dominanti negli anni settanta. Tra i meriti di De Tora e degli altri artisti di Geometria e Ricerca c'è quello di non aver abbandonato il terreno specifico delle pratiche artistiche. Le loro opere, in cui le forme dell"'immaginario geometrico" - per usare l'efficace espressione di Luigi P. Finizio - appaiono felicemente in bilico tra fantasia e spirito critico, documentano una volontà di resistenza culturale al processo di mercificazione, che in quegli anni incominciava a diventare così pervasivo da coinvolgere non più l'opera d'arte in quanto possibile oggetto di scambio, ma l'intero campo della produzione dei linguaggi e dei comportamenti. A questo quadro complessivo, caratterizzato da un'esasperata accelerazione consumistica, si collegava Crispolti nel presentare il gruppo nel 1977, con un testo in cui la sottolineatura del radicamento in questa situazione non contrastava affatto con il riconoscimento dell'attenzione di Geometria e Ricerca rivolta all'esame strutturale dei materiali e dei linguaggi della pittura. Rivedo nello.studio di Villa Faggella, a Capodimonte, le opere che Gianni De Tora ha selezionato per la sua imminente personale nelle sale di Castel Nuovo. Ci sono alcune di quelle realizzate tra il 1979 e il 1980, presentate, tra l'altro, nella mostra che il gruppo tenne allora nel Museo del Sannio e, un paio d'anni dopo, nella personale all'Accademia Pontano, con il titolo significativo "Tra opera e ambiente". Queste opere sono il naturale svolgimento di una ricerca sulle "sequenze primarie" che De Tora aveva avviato da qualche tempo, ma, anche se l'analisi rimane rigorosamente concentrata sulle relazioni tra le variazioni della forma e del colore, entra in gioco, forse per la prima volta in maniera diretta, il rapporto tra lo spazio interno dell'opera e quello ambientale. Circa un decennio dopo Matteo D'Ambrosio avrebbe parlato di "una più consapevole predisposizione alla componibilità ambientale". Ora appare chiaro che il cammino di De Tora non andò nella direzione della ricerca environmental o della pratica sempre più divulgata delle installazioni. Si direbbe, al contrario, che le maggiori conseguenze del coinvolgimento dell' opera nello spazio ambientale si videro nei lavori successivi, e segnatamente nell'effetto d'immersione delle forme nelle circostanze cromatiche e luminose - tutta contenuta, però, entro la spazialità dell'immagine pittorica - che ci restituisce il fascino di una geometria non più struttura portante dell'immagine, ma elemento interno a questa, accanto ad altri elementi diversi e persino accidentali. Una geometria calata nelle familiari, attraenti imperfezioni del mondo fenomenico non solo dialoga con questo, ma è essa stessa cosa tra le cose, avvivata dalla luce, bruciata dalle ombre, spalmata di preziosi spessori materici. Se ne accorse bene Pierre Restany che nel 1984, presentando l'artista agli Arsenali di Amalfi, scriveva nell'incipit dell'Ode a De To- ra: ''Non sarà mai totale/ il recupero della geometria! una dolce angoscia esistenziale/ spalma di miele/ le prospettive estese ... ". Nella seconda metà degli anni ottanta muta il registro espressivo della pittura di De Tora. Egli incomincia a mettere in atto un procedimento che direi di accorta levigatura della superficie del quadro. Alla radice di questo procedimento, che sgombra progressivamente il campo dai preziosi frammenti materici che vi si erano depositati, non vi sono intenzioni puristiche, di restaurazione del primato della geometria e dei connessi valori simbolici. Se proprio si vuol parlare di geometria, bisognerà intenderla piuttosto come una sorta di impalcatura scenografica, un largo telaio che tende a coincidere con l'intera superficie del quadro. E' una solenne e severa architettura di grigi e di neri nella quale si apre una finestra di luce, da cui penetra, nel quadro, un frammento della precaria bellezza della vita. Nel 1991 Pierre Restany, che è stato l'interprete più sensibile di questo momento, dopo aver descritto la natura scenografica dell'universo di Gianni De Tora, osservò che "i protagonisti dei suoi quadri-teatri sono il colore e lo spazio generato dalla pittura". Non divergono da questa indicazione gli appunti di Gillo Dorfles, che nel 1998 coglieva segnali di deroga "alla inflessibile costruzione della 'simmetria' (quella che William Blake definiva la 'fearful symmetry') e del rigorismo geometrico". E può bastare, allora, l'accostamento dì una zona di nero o di grigio opaco ad una zona lucida, uno scarto nella rigida ortogonalità del qua- dro, un imprevisto andamento obliquo, per disporci, lungo i bordi di questa geometria rischiosamente coinvolta nel fluire della vita, all'imbarco per una nuova avventura dei sensi e della fantasia.

 
TESTO DI GIULIO DE MARTINO PER CATALOGO DELLA MOSTRA

Gianni De Tora e le ipotesi dell'arte

Ho avuto il primo contatto con le ricerche artistiche di Gianni De Tora diversi anni fa. Ricordo il suo vecchio studio e alcuni quadretti dipinti su foglia d’oro e tele di grandi dimensioni su cui i colori si muovevano con ampie ma precise campiture. Una di queste tele era dedicata al logo del Tao e Gianni me la donò come immagine per la copertina di un mio libretto di pensieri. E la sensazione che ne ricevevo è la stessa che ancora provo di fronte ai suoi lavori più recenti (penso all’omaggio a Mondrian-Che Guevara o al Libro d’artista). In buona sostanza si può definire come la percezione di un senso gioioso della libertà. So che la libertà degli artisti è altro dalla libertà degli uomini e so che non c’è libertà senza regole. Dico allora che l’entusiasmo contagioso che vive ed emana dall’arte di De Tora deriva dal fatto che, nel mondo aperto delle opere d’arte, le regole l’artista se le può forgiare e se le può scoprire da solo: protendendosi in una dimensione che lo libera da molteplici condizionamenti sociali per proiettarlo in uno spazio virtuale di forme e di colori, di spazi e di materie. Potrebbe sembrare allora che l’artista De Tora sia riuscito ad entrare nel mondo «oltre lo specchio» o che si sia elevato in un qualche «sopracielo» di forme e geometrie astratte. Ma non è così. De Tora infatti compie questa ascesa, effettua la sua passeggiata tra i simboli e i colori, portandosi sempre in mente o in tasca frammenti e brandelli della realtà storica, politica, sociale. Frammenti che rispuntano fuori liberamente. Si vanno così ad impastare con gli sfondi di linee, con i giochi delle superfici pittoriche e le contaminano, le «sporcano» con le cose concrete – e spesso drammatiche – dei nostri giorni, di ogni giorno. Fra astrattismo (in sé vano) e realismo (in sé banale) De Tora si colloca nel mezzo: poggia le mani su entrambe le pareti, tenta la scalata del «monte analogo» inerpicandosi per camini e crepacci, per vuoti e faglie in cui passano l’aria e la luce. Così il gioco della pittura si situa nel mondo e lo assorbe. Ed ecco allora che le ipotesi dell’arte di De Tora, dopo essersi librate per qualche istante nello spazio euclideo e non-euclideo delle linee colorate, diventano sfondo, supporto, telaio per accogliere il tempo della storia.

 
 
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